mercoledì 8 giugno 2011

Quando un convegno non fa primavera

Avendo partecipato sia al Convegno di Napoli (più accademico e informale, dedicato agli studenti) sia al Convegno di Roma (più istituzionale e formale, destinato ai giornalisti), ho avuto chiara la percezione di come si possa parlare di McLuhan e del suo lavoro in modi diversi e secondo differenti prospettive. Li ha accomunati la simpatia e la passione per la ricerca che scaturisce da ogni parola di Derrick de Kerckhove. E’ una passione che proviene dalla conoscenza diretta di McLuhan e, in particolare, dall’aver scavato a lungo, per molti anni, nelle parole del suo maestro.

Ecco, se c’è un aspetto che mi ha disturbato dell'evento di Roma (quello più pubblicizzato) è che ho avuto impressione che diversi relatori non conoscevano abbastanza il pensiero di McLuhan, specialmente gli italiani. A parte Giampiero Gamaleri (vero cultore della materia), ci sono state considerazioni interessanti da parte di Vincenzo Vita (sul “doveroso utilizzo politico degli insegnamenti di McLuhan”) e da Mario Morcelini (sulla durevole incapacità della comunità scientifica italiana di riconoscere la radicale originalità del pensiero mcluhaniano). Per il resto, tante chiacchiere, ambiguità, poca profondità.

Non a caso, molta parte della ricca rassegna stampa post-evento appare quantomeno scettica. Ad esempio, mi ha colpito un pezzo della rubrica Telepatia sul sito di Nova – IlSole24Ore, dove ho letto commenti come “il tentativo di mettersi sulle tracce del futuro ha restituito in buona parte slogan già noti, invece che concetti avanguardistici o interpretazione di segnali deboli” e “il proposito di organizzare un evento ispirato allo studioso canadese non solo nel metodo, ma anche nel merito sembra difficilmente realizzabile”.

Il problema non sono questi commenti sul convegno romano, peraltro condivisibili, ma il corto circuito che provocano allorquando il giornalista di turno si spinge a considerazioni sul pensiero di McLuhan, in base a quella deprecabile ma purtroppo diffusa abitudine per cui chi vede la grattata pensa di poter parlare anche del prurito. E pertanto: “più che a McLuhan, il tempo sembra aver dato ragione ai suoi critici” e ciò basta a “mettere in guardia contro il rischio di celebrazioni nominaliste”.

E’ persino paradossale, poi, che a giustificare tali tesi arrivino argomentazioni come la seguente:
per quanto riguarda la televisione, le predizioni del canadese (come quella secondo la quale il media del futuro, quale che sia, includerà la televisione come suo contenuto, non come suo ambiente, che cozza ad esempio con la realtà delle TV connesse) valgono le analisi e le ricerche dei suoi detrattori, come Raymond Williams, che per primo acutamente propose la nozione di flusso televisivo”.

Beh, mi scuso con tutti, in particolare con Paola Liberace di Telepatia, ma sicuramente avremo modo di approfondire il tema, mentre ora è troppo forte la tentazione di sorridere, trasformarmi in Woody Allen, andare a prendere McLuhan fuori schermo e fargli rispondere ancora una volta:
 You mean my fallacy is wrong?”.

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