sabato 26 marzo 2011

come occhiali invisibili

“La televisione compensa la nostra miopia”
Nel leggere le frasi scritte da McLuhan è importante non fermarsi al primo significato suscitato dalle parole che si trovano, soprattutto quando sembrano solo frasi a effetto. Vero che al professore canadese piaceva esprimere le proprie idee con analogie affascinanti, ma il desiderio di stupire il lettore è sempre secondo a quello di condurlo a significati profondi.
Così può apparire banale l’accostamento della Tv alla vista umana, mentre nasconde valutazioni notevoli. Innanzitutto, il problema di vista scelto da McLuhan non è casuale: essere miopi significa perdere i contorni delle cose, anche relativamente vicine, vedere “sfocato”. E contrariamente al presbite, il miope non può fare a meno di uno strumento di ausilio, occhiali o lenti a contatto che siano.
Quindi la televisione è uno strumento ausiliario che ci consente di cogliere oggetti che sarebbero indefiniti.
L’aforisma non è banale perché sottolinea ad un tempo due aspetti: la natura del mezzo come ausilio suppletivo e non solo sussidiario; il carattere incompleto di quello che il mezzo stesso è in grado di produrre.
Le “calze a rete” che la televisione trasmette, così discontinue e lacunose, sarebbero illeggibili senza la capacità del mezzo stesso di renderne definiti i contorni agli occhi dello spettatore, il quale non impara nulla da questo soccorso, né migliora in alcun modo la sua personale capacità di lettura.
E’ evidente che tutto ciò avviene a livello implicito e automatico (sulla punta del naso non ci sono occhiali), resta da capire se aveva ragione Erich Fromm nel definire la televisione “un mezzo passivante”.

sabato 12 marzo 2011

quando critica il Tg1

Oggi ho visto il Tg1 delle 13.30 e sono rimasto sbigottito.
Un servizio, in particolare, mi ha colpito tanto da convincermi del fatto che Minzolini (“Scodinzolini” come lo chiama qualcuno..) stia inesorabilmente trascinando quella che era la prima testata giornalistica del paese in uno sciagurato vortice d’involuzione. Puoi vederlo cliccando qui.
Il servizio non aveva alcuna notizia da dare ma aveva la pretesa – figurarsi – di rendere edotto il pubblico circa la faziosità che può esserci negli articoli di stampa. Veniva citato esplicitamente il vicedirettore di Repubblica Massimo Giannini e la rubrica che da qualche tempo ha creato sul quotidiano, dal titolo “Struttura Delta”, che quasi ogni giorno ospita poche righe dichiaratamente finalizzate a fornire un’opinione su come funzionerebbero i meccanismi utilizzati dal premier Berlusconi per diffondere le proprie idee sui mass-media del Paese.
Il servizio del Tg1 non faceva altro che ricordare alcune delle tesi di Giannini per poi contestarle con un tono falsamente bonario e un tipico espediente retorico: quello di evidenziare le contraddizioni di alcuni elementi dell’idea per rigettarla in toto.
E’ un espediente abbastanza irrazionale (una tesi può avere valore anche se non tutti i dettagli ad essa coerenti sono solidi) ma può essere molto efficace, specialmente se chi lo utilizza si veste di tollerante superiorità.. E chi meglio del Tg1?

Non voglio nemmeno riportare le tesi di Repubblica criticate nel servizio; quello che mi dispiace non ha a che fare con esse, ma con quelli che sono (sarebbero) i compiti di un telegiornale autorevole: di certo, utilizzare il tempo di un servizio per criticare un articolo di giornale non è tra essi; ancor più certo, se l’articolo criticato non riporta notizie sbagliate ma dichiaratamente opinioni.
La sensazione è che il “Direttorissimo” (come lo saluta Berlusconi al telefono) abbia progressivamente condotto il Tg1 nella sua particolare battaglia politico-giornalistica, che non è semplicemente una battaglia in favore del premier ma è anche una battaglia contro i suoi personali avversari.
In una guerra come questa si finisce per fare largo uso di mezzi scorretti, se chi la conduce non possiede sufficienti riserve morali. Basti pensare che nel servizio di cui ho parlato il logo del Tg era listato di una banda gialla con la scritta “Tg1 Media”, come se fosse il primo di una nuova rubrica davvero decisa a fare educazione critica alla lettura dei mezzi di comunicazione.
Purtroppo, non sarà l’ultimo.

domenica 6 marzo 2011

come le calze a rete

La televisione è sensuale come le calze a rete
Il paragone è rischioso e il suo significato piuttosto criptico, come avviene del resto nella gran parte delle affermazioni che ci ha lasciato Marshall McLuhan. Le sue frasi, i suoi aforismi più o meno ricercati, sono ognuno un tassello di un vasto e variopinto “mosaico”, che ancora oggi agli occhi degli studiosi appare sorprendente e assolutamente affascinante.
Passo passo, ci proponiamo di fare luce su un tassello alla volta, scegliendo fra quelli che più evidentemente si prestano a parlare di mezzi di comunicazione di massa, naturalmente con uno sguardo privilegiato alla televisione e le sue nuove correlate digitali. In questo senso, il parallelismo tra tv e calze a rete è invitante, oltre che originale.
Per capire il significato dell’aforisma non bisogna limitarsi all’attributo di sensualità, ma ragionare specificamente su ciò che contraddistingue le calze femminili cosiddette “a rete” rispetto le altre. Non si tratta, cioè, di un esempio casuale: sostituire le calze con un altro oggetto considerato “sensuale” farebbe perdere gran parte dei significati evocati dal paragone. Occorre quindi osservare specificamente le calze a rete.
La caratteristica più evidente, quella fondamentale, è la differenza nella forma strutturale: la calza non è più un tessuto finemente intrecciato in grado di comporre un velo uniforme, ma risulta tutt’altro: i suoi fili sono spessi e intrecciati in una trama aperta, che ricorda una rete da pesca e che espone direttamente, agli occhi altrui, la pelle della donna. La forma delle calze a rete è una discontinuità strutturale, un’alternarsi di vuoti e pieni, un susseguirsi di lacune che l’occhio è chiamato a colmare. La sensualità è il prodotto di un rapporto tra la forma dell’oggetto e il suo osservatore, il cui atteggiamento può essere decisivo: un occhio distaccato può focalizzare la trama e coglierne le reali qualità.
L’aforisma di McLuhan è quindi profondo e illuminante. Basta seguire un telefilm (un prodotto negli anni sempre più propriamente “televisivo”) per avere prontezza delle sue qualità strutturali e delle profonde differenze con il tessuto finemente intrecciato del cinema.