sabato 28 maggio 2011

Berlusconi e il formato deperibile

Nei giorni scorsi si è parlato molto, sui giornali e on line, a proposito dell’invasione mediatica di Silvio Berlusconi, il quale - dopo i deludenti risultati elettorali del primo turno delle amministrative - è tornato prepotentemente a occupare gli spazi televisi per sostenere i candidati del Pdl ai ballottaggi, a cominciare dalla traboccante presenza in quasi tutti i telegiornali. In particolare, c’è stato un giorno (il 20 maggio scorso) in cui il premier è apparso continuamente sui nostri schermi con “comunicati al Paese” trasmessi da Studio Aperto su Italia Uno alle 18.30, dal Tg4 su Rete 4 alle 19, dal Tg1 su Rai 1 e dal Tg5 su Canale 5 alle ore 20 “a reti unificate”, nonché dal Tg2 su Rai 2 alle 20.30.


Ovviamente le polemiche politiche che ci sono state nei giorni seguenti erano scontate e non mi hanno sorpreso. Non entro nel merito, anche se non nascondo di apprezzare ciò che sulla vicenda ha scritto Famiglia Cristiana in un editoriale in cui dice che “sono state scritte due brutte pagine: una da un primo ministro proprietario di televisioni che si arroga prerogative inaccessibili agli avversari politici; l’altra da un giornalismo televisivo che non tiene dritta la schiena ma si genuflette”.

Ciò che più mi ha impressionato, invece, sono il calo degli ascolti per le apparizioni televisive di Berlusconi e i commenti che sono seguiti, non solo da parte di politici. Dati Auditel alla mano: il Tg5 ha perso oltre 20 mila spettatori rispetto alla stessa edizione del giorno precedente, il Tg2 ha perso 188 mila spettatori, il Tg1 – quello che ha mandato in onda il servizio più lungo sul premier - ha registrato la bellezza di 583 mila spettatori in meno. Non sono andati meglio, rispetto al giorno prima, neanche il Tg4 e Studio Aperto. Insomma dopo il flop elettorale, c’è stato quello televisivo.
Tutto ciò ha portato gli esponenti politici dell’opposizione, ma anche molti commentatori, ha concludere che il Paese si sarebbe stancato di Silvio Berlusconi e delle sue posizioni politiche, dei temi che rappresenta, delle rivendicazioni “garantiste” che porta avanti. Qualcuno ha dichiarato entusiasta: “il vento è cambiato, ora il Paese è insofferente alle menzogne”. Il flop del premier in tutti i telegiornali ne sarebbe un segno evidente.

Non ne sono così convinto. Considerazioni di questo tipo sono viziate da almeno un paio di semplificazioni. La prima è l’equivalenza, del tutto arbitraria, tra popolazione politica e pubblico televisivo. Non intendo solo ricordare un paio di semplici dati di fatto, cioè che il pubblico della televisione non è rappresentativo dell’intera popolazione e che questa non è identica alla parte di popolazione che gode di diritti politici, ma anche fare una considerazione che riguarda propriamente il carattere fortemente deperibile dei media.

Va tenuto conto, cioè, che tutti i media, e i format televisivi in modo particolare, hanno una spiccata propensione a divenire progressivamente obsoleti per il proprio pubblico di riferimento: coloro che più hanno avuto modo di seguire un certo medium più sono in grado di allontanarsi da esso. Nel nostro caso, coloro che hanno “tradito” il premier nelle sue apparizioni tv potrebbero essere coloro che maggiormente sono stati attratti – in passato – dal suo formato televisivo per antonomasia, fatto di un’inquadratura bloccata, di una scrivania autorevole, di una compostezza ricercata, di parole rassicuranti.

Così come il processo di mutamento delle forme di comunicazione è impercettibile ma inesorabile fino all’obsolescenza e al loro completo superamento, allo stesso modo è implicita ma inevitabile la capacità delle persone di comprendere tali forme fino ad emanciparsene. La mia tesi, insomma, è che i dati Auditel dei Tg rivelino come l’esposizione mediatica di Silvio Berlusconi abbia portato il suo format più tipico ad un livello di saturazione che non produce più l’attenzione dei telespettatori. Ma anche che tutto ciò non ha nulla a che fare con i contenuti del Berlusconi politico.

Conto di tornare presto sull’argomento, anche perché – se la tesi è fondata – potremmo vederne conferme: dal comportamento degli elettori o dalla ricerca di nuovi formati nuovamente attraenti.

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