domenica 11 novembre 2012

Ma quello non è un Flash Mob

Oggi è un giorno speciale: il flash mob è approdato al Tg1. Forse.
Di certo l’edizione delle 13.30 del principale telegiornale italiano ha dedicato un servizio di quelli “di colore” (tra uno di Mollica e quelli sportivi) al particolare evento accaduto ieri, sabato  10 novembre, a Roma. Allo spettatore televisivo non è dato sapere molto su che cosa abbia significato. Il servizio ha informato che più di 30mila persone “si sono date appuntamento via Facebook” e radunate nella storica Piazza per ballare un “vero e proprio tormentone musicale intercontinentale”, la canzoncina di un rapper coreano che “ha conquistato il mondo dei social network” e ha fatto ballare “da Britney Spears fino a Gabriele Cirilli”. L’operazione è più che riuscita, “dando vita a un altro fenomeno figlio dell’era digitale: il flash mob”.
Niente di più, con tanto di sorrisino rassicurante (tipo “so’ ragazzi..”) da parte della conduttrice:
Ci sarebbe tanto da chiedersi e cercare di capire, anziché trattare eventi del genere come banali fenomeni di costume giovanile. Eppure oggi moltissimi, vedendo una Piazza del Popolo affollata senza palco e senza slogan, si saranno chiesti perché tanti giovani abbiano sentito l’esigenza di partecipare a quel raduno. Il rischio, che corre la tv, è quello di contribuire a un “digital divide” sempre più evidente tra “tele-spettatori” e “nativi digitali”. Proprio in una fase della cultura digitale che è già al consolidamento di alcuni tratti e al rovesciamento di altre abitudini.
Quello che è approdato al Tg1 non è un flash mob, o almeno non è il flash mob che abbiamo conosciuto nei primi anni Duemila. Ciò che si è visto ieri a Piazza del Popolo, e già il 27 ottobre a Piazza del Plebiscito a Napoli, sulle stesse note, non è la “folla improvvisa” che nel 2003 appariva in un supermercato o un negozio di dischi e che si dissolveva nel giro di pochi minuti dopo aver contribuito a mettere in scena qualcosa di insolito e, spesso, insensato.
Nella sua forma originaria, il flash mob non prevede una finalità esplicita: anzi, non avere senso è una delle sue proprietà peculiari. Non è un caso che per quasi dieci anni questo termine – per quanto noto - non è stato mai usato per eventi organizzati a fini evidenti ed espliciti, che siano stati politici o di protesta, piuttosto che commerciali o promozionali. I due tratti distintivi del flash mob sono sempre stati la casualità della forma finale e la marginalità di una ragion d’essere.
La folla di ieri a Piazza del Popolo sarà pure “improvvisa” (per quanto possa comporsi e sciogliersi rapidamente una folla così grande), ma di certo i ragazzi che l’hanno prodotta sapevano esattamente che stavano facendo. E – beninteso – sapevano non solo che si sarebbero trovati tutti insieme per ballare un motivetto coreano ma anche che – aspetto che li differenzia ancor di più dai flash mob di dieci anni fa – l'obiettivo che avevano era quello di essere tantissimi per riempire la piazza più di quello che era stato fatto a Palermo, a Napoli, ovunque finora. Un carattere di competitività che è persino l’opposto della forma anarcoide originaria.
Anche sulle modalità di comunicazione per organizzare i raduni ci sarebbe molto da scrivere, a partire dal fatto che non è possibile dire che i mezzi di comunicazione utilizzati (oggi rispetto a dieci anni fa) siano gli stessi: per capirlo sarebbe sufficiente considerare Internet per il “protocollo” che è e non per il “mass medium” che non è.
Marco Pigliacampo

“Esiste un principio piuttosto antico secondo il quale nella fase di sviluppo ogni mezzo appare in forma opposta a quella che finirà per assumere”.
(Marshall McLuhan)  

domenica 7 ottobre 2012

Il tragico eastwoodiano ..nella nostra vita.

Dalla visione di un film (un bel film) possono arrivare suggestioni notevoli..
Vi riporto qui il brano di una recensione del film "Gran Torino" di Clint Eastwood, scritta da Flavio De Bernadinis per 'Segnocinema'.
<< Il tragico eastwoodiano. Questa anarchia reazionaria trova oggi tutti d’accordo. Riformisti conservatori e riformisti progressisti. Nostalgici della rivoluzione e riformisti progressisti. Individualisti borghesi e volontari del sociale. Credenti e non credenti. Potenti e diseredati. Illuminati della ragione e integralisti della superstizione.
È il vuoto reazionario che esclude i sistemi di pensiero possibili. È il vuoto anarchico che alimenta un sistema di pensiero libero, ovvero libero da ogni possibile via d’uscita o salvezza. Che non si possa andare da nessuna parte è il sollievo della società post-politica contemporanea. Finalmente l’altrove è abolito. Nella “libertà senza possibilità”, infatti, consiste il mondo in cui oggi si vive. Il mondo è “libero” e al tempo stesso “senza alcuna possibilità di salvezza”.
L’artista, allora, coglie l’esistente e lo ratifica nel segno dell’individualismo “istituzionalmente” anarchico e “positivamente” reazionario. E così fan tutti, ma proprio tutti, progressisti e conservatori, populisti e barricaderi, pacifisti e belligeranti, fedeli ed infedeli, felici e contenti. >>

domenica 2 settembre 2012

aforismi in forma di ipertesto

Terza Pagina è una rivista di promozione culturale edita da Armando Editore.
Segnalo la bella recensione del mio lavoro su McLuhan, dal titolo “Gli aforismi di McLuhan, profezie in forma di ipertesto”, scritta da Anna Lionetti.
Qui la recensione in formato pdf:

lunedì 20 agosto 2012

distribuzione google

L'anno scorso, appena uscito in libreria "McLuhan. Aforismi e profezie", avevo scritto su twitter:
"Ho passato 5 anni a pensarlo, 3 anni a lavorarci, 1 anno a proporlo a editori, 6 mesi a convincere De Kerckhove e McLuhan (figlio), 3 mesi a sollecitare Armando Editore... e 2 giorni dopo la pubblicazione... è già su Google Libri!"

Oggi mi sono accorto che su Google non solo è possibile vedere un'anteprima del libro, ma anche acquistarne una sua versione elettronica, una sorta di e-book che si legge direttamente con il Pc e che ha tanto di "segnalibro"...

http://books.google.it/books?id=pvA3ac6iMH4C&printsec=frontcover&dq=mcluhan+aforismi&source=bl&ots=SfUa0MKYNW&sig=XifTRupVUiHt6L2U1xGg0xsADL0&hl=it&sa=X&ei=_kkyUNbaJ8-5hAeck4HABg&ved=0CDUQ6AEwAA#v=onepage&q=mcluhan%20aforismi&f=false

...ed è pure disponibile su Google Play la versione per Smartphone, Android, IPhone e IPad!
https://play.google.com/store/books/details/Marshall_McLuhan_Aforismi_e_profezie?id=pvA3ac6iMH4C&feature=search_result#?t=W10.

ps: per tanto tempo ho sentito dire che il problema dell'editoria era la distribuzione... ora se il problema persiste ha quantomeno cambiato forma.
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martedì 14 agosto 2012

tutto potenzialmente falso

Tra i tutoriali che spopolano su YouTube (a proposito, il tutorial è uno dei pochi 'generì' audiovisivi nativi della Rete, e che ha influenzato anche la Tv) ci sono quelli tecnico-informatici, solitamente destinati alla platea dei giovani 'smanettoni' e piuttosto autorefenziali.

Grazie a uno di questi (http://www.youtube.com/watch?v=acpB7VazEW4) ho avuto la conferma che ancora oggi è possibile per ognuno inviare e-mail con l'indirizzo di qualcun altro (cosa che personalmente facevo già 10 anni fa per mostrare la fragilità della Rete) e ho scoperto che è stata persino sviluppata una app per smartphone che consente di farlo dal proprio telefono senza alcuno sforzo.

Anche se molto semplice e banale (la posta elettronica si basa sul protocollo Smtp, che è di tipo "aperto", cioè dichiara apertamente il proprio mittente), questa cosa mi fa un'enorme impressione:  il fatto che tutte le comunicazioni e-mail, quelle personali, quelle professionali, quelle lavorative e aziendali, quelle che ci fanno commuovere e innamorare, quelle che muovono miliardi e miliardi di euro di accordi, di contratti, di lavori... siano tutte potenzialmente false, tutte solamente verosimili, credo rappresenti la natura essenziale dei rapporti mediali, umani e sociali, che caratterizzano gli anni che stiamo vivendo.
...

P.S.: i teorici definiscono 'misinformazione' la stessa qualità di contenuto (verosimile ma non dimostrabile) trasmessa dai mass media; qui il termine preciso sarebbe 'miscomunicazione'..

P.P.S.: per quanto possa sembrare incredibile, la diffusione su scala planetaria di un determinato sistema di comunicazione non dipende affatto dalla sua capacità di essere attendibile, bensì da tutt'altre qualità, a cominciare dalla pervasiva adattabilità. peraltro queste stesse qualità ne favoriscono il diffuso utilizzo da parte delle persone.

"L'accettazione docile e subliminale dei media li trasforma in prigioni senza muri per le persone che ne fanno uso.  (McLuhan, Aforismi e profezie)

domenica 17 giugno 2012

la morte in diretta sul web

La rete sta completando il processo di incorporazione delle nostre vite.
Finora, alla resa totale della carne mancavano l’assorbimento dei suoi momenti essenziali: la nascita e la morte.

Se nascere direttamente in rete è vicenda da perfezionare, già oggi la nostra fine può essere “condivisa”.

Basta vedere “Dead Social”, un’applicazione che ci aiuta a scomparire, salutare chi vogliamo, lasciare espressamente pubbliche le nostre ultime volontà... :

Pensavamo di essere viaggiatori della rete, visitatori stranieri provenienti da un altro mondo, al quale tornare almeno per le esequie.. ma oramai siamo impiglianti in essa, anima e corpo.

domenica 10 giugno 2012

quando tifa mcluhan..

A proposito di calcio, una chicca di McLuhan tratta dal mio lavoro:

"L'odio dei tifosi per l'arbitro è ben riposto: è l'unico in campo a poter passare la palla al pubblico avversario."


domenica 27 maggio 2012

quando parla Alonso

Poco fa, a "Grand Prix" di Italia 1, ho visto Giorgio Terruzzi intervistare Fernando Alonso e avere l'incauta idea di chiedergli come mai ha presentato il suo nuovo casco con una foto da lui stesso postata su Twitter...

Risposta: preferisco comunicare direttamente quando posso, perché “il 95% di quello che è riportato dai media è manipolazione, la realtà è sempre un’altra cosa.

E conclude rassicurando Terruzzi: “Oggi fare il giornalista è molto duro..”

domenica 25 marzo 2012

Il sasso di Serra nello stagno di Twitter

Finalmente in rete si parla di qualcosa di interessante. Anche in Italia.
Dopo quindici anni di utilizzo sperimentale da parte di alcune comunità professionali, solitamente votate al mutuo soccorso tecnico; dopo dieci anni di pubblicazioni, saggi e articoli che hanno sempre avuto la rete come oggetto e mai come ambito; dopo il boom demografico della rete degli ultimi cinque anni, avvenuto peraltro in tre tappe (prima la proliferazione di scrittori da Blog, poi il battessimo di massa dei nati digitali in Facebook, infine l’occupazione di Twitter da parte degli impiegati della conoscenza); dopo tutto questo, oggi si parla della rete anche in rete. Non che se ne parli con molta competenza, ma è già un primo passo.

Molto del merito è del sasso nello stagno lanciato nei giorni scorsi da Michele Serra, che su Repubblica ha dedicato una sua “Amaca” a Twitter. In sintesi, prima di concludere con un colpo da maestro (“Dovessi twittare il concetto, direi: Twitter mi fa schifo. Fortuna che non twitto..”), Serra ha rilevato come le caratteristiche del mezzo inducano un “uso frettoloso e impulsivo della parola”, totalmente votato non solo alla brevità (per il noto limite di 140 caratteri), ma anche alla ricerca di posizioni nette, che non nutrano dubbi e che non consentano alcun tipo di ragionamento, solo una scelta di campo tra posizioni polarizzate. Non solo: nel leggere i tweet si avverte una sorta di “ossessione di comunicare” da parte di chi li scrive: un’abitudine a manifestare sistematicamente la propria presenza che, da un lato, rivela un rapporto narcisistico e autoreferenziale col mezzo e, dall’altro, provoca una riduzione della loro capacità d’analisi (indipendentemente dal tema trattato), orientandola inevitabilmente alla schematicità o alla provocazione. “Per comunicare basta scrivere "io esisto". Per scrivere, spesso è necessario dimenticarlo”.

Le parole di Serra hanno alzato mille rivoli di commenti e opinioni, anche in alcuni giornali ma soprattutto in rete, moltissimi dei quali in contrasto con la sua opinione. Ne ho letti parecchi e troppe volte ho avuto il dispiacere di leggere (ancora..) frasi come “non sono i mezzi ad essere pericolosi, ma come si utilizzano”. E non parlo di frasi sentite al mercato, ma purtroppo lette su articoli di giornali noti, come quello di Andrea Scanzi su Il Fatto: “C’è una cosa che Serra non faticherebbe a vedere, se solo fosse meno obnubilato da quella che potremmo rispettosamente chiamare “sicumera vintage”: Twitter, come tutti i mezzi, non è sbagliato in sé. Se usato male, è mera autoreferenzialità (che Serra conosce benissimo, come tutti noi). Se usato benino, è puro divertimento (che Serra conosceva benissimo). Se usato bene, è palestra di scrittura e umorismo (di cui Serra era, e a volte è, maestro)”. Evidente che qui si scrive con nessuna competenza di media ma solo per parlare della propria conoscenza di Serra. Ai media piace parlare di sé. E’ una regola che trova nuova conferma in questa vicenda e che in rete prende forme perverse. Come ha notato un altro giornalista, Federico Mello: “Su Twitter le discussioni più calde si interrogano su chi meriti o meno di finire nelle hashtag. Gli utenti a volte si sentono una setta: come se oggi la più moderna forma di socialità possibile sia quella dei retweet”.

Altri osservatori critici hanno almeno focalizzato il dissenso da Serra in qualche idea più precisa. Secondo Fabio Chiusi, egli “ignora l’importanza del contesto in cui Internet si diffonde” rinunciando a indagarequali sue caratteristiche abbiano quali effetti in quale tipo di società”. Posizione vicina a quella di Luca Sofri, il quale ammette che “c’è una cultura che privilegia la superficialità schematica e partigiana”, ma essa “prescinde da Twitter e dai blog e dai commenti online e dagli Sms”; è una cultura “che noi stiamo ogni giorno accogliendo e coltivando, e i modi in cui spesso dilaga in rete non nascono sulla rete, ma nel mondo di prima e di fuori, nelle nostre conversazioni private, nei nostri pensieri”.

E’ una bella notizia che giornalisti e opinion maker italiani comincino a porsi questioni sull’utilizzo critico dei new media. Anche se la gran parte delle loro opinioni sono ben lontane da aggiungere qualcosa di significativo alla riflessione scientifica sui media e i loro impatti sociali, le cui conclusioni fondamentali sono assodate da almeno vent’anni. Tra queste, l’esistenza di un impatto diretto delle forme mediali sui meccanismi percettivi e cognitivi, nonché di una loro diretta influenza sia sulla natura delle relazioni che consentono di instaurare sia sui contenuti che consentono di trasmettere. Ma ora non è questo l’importante. Che si continui a dibattere..

Se – come diceva McLuhan - “il contenuto di un medium è solo il succoso pezzo di carne con il quale il ladro tecnologico distrae il cane da guardia dello spirito”, allora cominciare a guardare il ladro in faccia è il primo passo per riconoscerlo.
..

domenica 26 febbraio 2012

Ora la Tv sfida i valori della fama

Viviamo già da anni in un'era post-televisiva, in cui la tv non è più il medium che abbiamo conosciuto e imparato a identificare con questo termine, ma ben più di esso, una forma nuova alla cui definizione contribuiscono in modo decisivo i nuovi media digitali.

Si può anche sostenere l’inverso, cioè che solamente negli ultimi anni siamo entrati nell’era propriamente televisiva, mentre il medium che conoscevamo era fermo ad uno stato pre-televisivo. Tesi peraltro in linea con una delle leggi di McLuhan, secondo la quale solo nei periodi di transizione da un medium ad un altro è possibile riconoscere le caratteristiche più proprie del medium già noto: “l’incontro tra due media è un momento di verità e rivelazione, di scioglimento dello stato di sonno ipnotico e narcisistico imposto dall’utilizzo di un medium”.

Decidere per la prima o la seconda tesi è una questione meramente definitoria, mentre il punto centrale è il riconoscimento della discontinuità con la televisione del passato. La mia personale impressione è che ci stiamo rapidamente avvicinando ad una fase in cui questa discontinuità sarà non solo evidente ma persino esplicita.

Ne ho avuto conferma quando, nei giorni scorsi, ho girato i nostri canali televisivi fino a “Italia2” e ho scoperto il suo palinsesto di programmi non-programmi, di contenitori di spezzoni video girati direttamente dai tele-spettatori e caricati via internet. E’ il regno dei prosumer, che a Italia2 chiamano “U-Zone” e non solo. Prevedono “tante stazioni” in una “Linea 2” aperta al pubblico..
http://www.italia2.mediaset.it/linea-2/

Sul sito si legge che..

Linea 2 è una linea underground che attraversa una fascia di televisione e passa sotto la superficie di quello che si vede sempre.
È una linea che ferma in varie stazioni, e in una potrebbe esserci proprio quello che fai tu, o qualcosa che ti riguarda.

Video di gente che offre pezzi della propria vita (e a volte vite intere)…
Video autoprodotti da gruppi e cantanti.. la bellezza insieme a te, con video-arte e video sull’arte …
Tutto quello che può documentare il meglio e il peggio dell’uomo, e del mondo in cui vive….
Persone che hanno qualcosa da dire e lo dicono in un video o con un video..  
Argomenti? Tutto quello che si può dire, tutto quello che si deve dire …

C’è molto da dibattere, di certo, sul fenomeno sociale del prosumer e sulla spiccata auto-referenzialità dei nuovi sistemi mediali, ma sono anche certo che solo ora possiamo focalizzare pienamente ciò che la tv è ed è stata fin dall’inizio:

“ L’immagine televisiva sfida i valori della fama “

(McLuhan, Aforismi e profezie, Armando, 2011)

sabato 28 gennaio 2012

altro che cucina

Masterchef è stato uno dei programmi più interessanti della stagione.
L’oggetto del dibattito è stata la ragione del suo successo: il contenuto o il format?
Vale a dire: la cucina o il modello di talent show convulso di taglio statunitense?
Il migliore commento che ho sentito è stato quello di Francesco Specchia di Libero:
Masterchef è un Ratatouille girato da Tarantino

http://www.tvtalk.rai.it/contributi.asp?page=1&tipo=2&ID=985

venerdì 6 gennaio 2012

Se la compliance è cultura

L'impegno professionale in ABI [ABIFormazione, in particolare] mi consente di approfondire i cambiamenti culturali che le persone impegnate nelle banche italiane stanno vivendo già da qualche anno. Molto interessante, in tal senso, ciò che sta accadendo rispetto al tema del rispetto delle regole poste a tutela dei clienti.
Tecnicamente si parla di 'compliance' ma di certo è un tema culturale.
Ho scritto a tal proposito un articolo, pubblicato dalla rivista digitale 'Compliance Normativa', che ho aggiunto alle pubblicazioni citate nella pagina 'Articoli'.
L'articolo:
- Se la compliance è cultura