domenica 9 giugno 2013

Come i Poke a Facebook - 2

Capire il significato dei termini usati nei social network è sempre complicato e può essere illuminante. Poke, ad esempio, ha una storia da raccontare.

In inglese significa letteralmente "stuzzicare" qualcuno per attirarne l'attenzione. Fu scelto dai creatori di Facebook qualche anno fa per una funzione che consentiva di mostrare interesse per un profilo personale senza chiedere "amicizia" o scrivere una mail. L'idea era fornire un modo "ufficiale" per mostrare a qualcuno il proprio personale interesse, a cui il destinatario  poteva rispondere accettando le attenzioni. Se pokavi qualcuno, nella sua pagina appariva un'icona a comunicarglielo e chiedergli feedback, se lui sceglieva poke back allora Facebook consentiva ai due di essere temporaneamente "amici" e vedere i propri profili personali per una settimana.

Evidentemente la funzione non ha avuto successo, visto che già pochi mesi dopo era stata semplificata, rimanendo solo un modo per inviare squilli virtuali per attirare l'attenzione dei destinatari (questa volta già "amici"), così come peraltro già facevano gli utenti di Messenger. Un modo di comunicare, questo sì, che si è diffuso tantissimo e che accomuna i social network ai telefonini nel loro "muto" utilizzo: il trillo diventa una forma di comunicazione tutta da decifrare, che spesso non vuol dire solo "Ti ho pensato", ma molto di più in base a ciò che i due dialoganti già conoscono. Un messaggio articolato, eppure senza parole.

La terza generazione di Poke è storia recente, che estremizza questo modo di comunicare. A inizio 2013, infatti, Facebook ha lanciato una nuova applicazione per smartphone che si chiama, appunto, Poke. La app consente di inviare ai propri amici messaggi multimediali istantanei, brevi testi corredati di una fotografia o di un video, che si autodistruggono pochi secondi dopo essere stati letti dal destinatario. Chi invia il messaggio infatti decide per quanti secondi (1, 3, 5 o 10) il contenuto potrà essere letto dopo l’apertura, prima di auto-distruggersi automaticamente e sparire dal telefonino. Carpe diem!

L'idea dell'autodistruzione del messaggio non è originalissima, visto che da prima di Poke la usa Snapchat, una applicazione che ha riscosso un discreto successo negli Stati Uniti e che consente di inviare da smartphone a smartphone fotografie che si cancellano da sole dopo essere state viste. Tuttavia la potenza di Facebook sta immediatamente portando al successo di Poke e alla diffusione di una nuova forma di comunicazione sempre meno estesa, non più solo muta ma perfino fugace.

"Questo messaggio è segreto. Dopo che lo hai letto, auto-distruggiti."
(uno dei più divertiti aforismi di McLuhan)

venerdì 31 maggio 2013

Come i Poke a Facebook


Oramai non c'è programma Tv nuovo (o che nuovo voglia sembrare) che non preveda un canale col web, con quello che scrivono i vari Mirko, Marika... il pubblico tutto. Alcuni fanno scorrere i messaggi in sovrimpressione, altri li leggono in uno spazio apposito, una finestra aperta sul pubblico. Così a The Voice, il programma musicale di Rai2, dove nella sua "web room", armata di Ipad, sta Carolina Di Domenico a leggere messaggi. Quelli che le arrivano dai tele-spettatori sono moltissimi, oltre 50 mila tweet nel corso delle puntate.

Ma che hanno da dire tutti questi messaggi? Di solito ben poco: anche fra quelli scelti e letti in diretta è tutto un susseguirsi di commenti scontati, complimenti esagerati, frasi ben poco memorabili. Stasera... un lampo di luce.

"... e posso leggere anche il tweet di Marko su di me:

Carolina sta a The Voice come i Poke a Facebook."

frase straordinaria. molto più interessante e profonda di quello che l'autore stesso (credo) intendeva dire.




venerdì 24 maggio 2013

L'umanità intera come pelle


Ciò che più ha stupito di quanto accaduto mercoledì a Londra, dove due giovani inglesi di origine nigeriana hanno ucciso un militare britannico, non è tanto l'efferatezza del delitto quanto l'atteggiamento dei due assassini. Hanno agito, prima e dopo l'omicidio, come se il loro quartiere di periferia fosse una ribalta mondiale, come fosse assolutamente plausibile uccidere un ragazzo di Woolwich per la causa internazionale dell'islamismo militante.
Lo ha sottolineato oggi Repubblica con un commento di John Lloyd, secondo cui "questi uomini vivono in Gran Bretagna, ma la loro vita mentale e spirituale è globale, si nutre di immagini e testi trovati in Internet, è incorniciata dal sogno di una Jihad così potente da poter spalancare le porte a un califfato globale. Questa visione millenaria è profondamente estranea a un Regno Unito in gran parte irreligioso, dove tutto ciò pare esclusivamente stravagante. Ma proprio questo conferisce loro una forza diabolica."

Le stesse cose si potrebbero dire dei fratelli americani, di origine cecena, protagonisti dell'attentato alla maratona di Boston. Giovani uomini che sono mediamente più acculturati e tecnologicizzati di coloro che vivono nello stesso quartiere (nonostante la diffusione degli smartphone, gran parte delle persone non utilizzano il web oltre i servizi più noti), ma che soffrono della propensione ad essere fortemente impressionabili da tutto quanto rappresentato sulla scena mediatica globale. La ragnatela del sistema mediatico mondiale li ha come catturati ed è nel delirio del sentirsi vittime che cresce l'idea di un atto terroristico: non più solo spettatori ma attori protagonisti. Non a caso, uno degli assassini di Londra chiede immediatamente di essere registrato da uno smartphone, conscio che sarà visto ovunque, aprendo personalmente la finestra del mondo su di lui.

L'effetto di tutto ciò è una sorta di dissociazione spazio-temporale tra la realtà 'vicina' e quella 'lontana', che la sensibilità di questi uomini distorce e inverte sistematicamente fino a convincerli che possono fare molto di più per il popolo afgano che per la signora del piano di sopra. Diceva McLuhan che "nell'era elettronica avremo l'intera umanità come nostra pelle" e in qualche modo fatti come questi ne sono una conferma, la speranza è viverne presto anche il lato positivo.

giovedì 16 maggio 2013

Il Grillismo: nuova forma di videocrazia

Molti commentatori e notisti politici si sono interrogati negli ultimi mesi sul clamoroso successo elettorale del Movimento 5 Stelle. Me ne sono interessato anch'io e segnalo un mio pezzo pubblicato ieri sulla rivista "Media2000".

È un'analisi dell'uso dei media da parte del M5S, in particolare del contro-rapporto tra Grillo e la Tv. La mia idea di fondo è che la televisione commerciale degli ultimi vent'anni abbia progressivamente diffuso schemi culturali "anti-sistema" che oggi Grillo sfrutta appieno.

"Il Grillismo: una cultura (televisiva) anti-potere e assolutiva"
  http://www.mediaduemila.it/?p=12992

domenica 12 maggio 2013

Notizie che non lo erano

Da Il Post.it ennesimi sintomi di mala-giornalismo italiano:
http://www.wittgenstein.it/2013/03/18/notizie-che-non-lo-erano-201/

Oramai la patologia è accertata, ma bisogna ragionare ancora molto su cause e terapia.

"Le vendite di libri e giornali non sono come dovrebbero essere, ma la malattia gode di uno stato di salute eccellente" (M. McLuhan)